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Ai blocchi di partenza

Non so voi, ma io non ero preparata.
A fare da mamma, maestra, psicologa, cuoca e tecnica informatica.
A rispondere ad una telefonata di lavoro mentre penso a cosa preparare per pranzo, a passare l’aspirapolvere nelle pause invece di bermi un caffè, a interrompermi di continuo per disegnare trapezi isoscele, e correggere frazioni e pensierini.
A vedere la mia bella casa trasformata in un fortino.
Pieno zeppo d’amore sì.
Ma talmente pieno di tutto da scoppiare.
La sala è diventata un ufficio, a momenti alterni mio e suo, la cameretta di Davide un antro inespugnabile di giocattoli e fumetti sparsi sul pavimento, e luce al neon del computer, tra lezioni on line e partite a Fortnite.
Non ero preparata al fatto che la sopravvivenza di base – mangiare, dormire, pulire, pulirsi, far pulire un puzzino di 9 anni – sarebbe diventata talmente prioritaria da assorbire tutto.
Non ero preparata a rimpiangere il traffico del mattino, le corse per andare a scuola, la pioggia delle cinque, gli orari serrati.
Ma che almeno esistevano, e scandivano ritmi precisi, giornate piene di impegni.
E quegli impegni adesso sono tutti condensati in qualche manciata di metri quadrati e difficilmente si allinenano, come uno scombinato cubo di Rubik.
Adesso tutto si accavalla e si mescola senza soluzione di continuità: scuola, lavoro, casa, cura della persona. Tutto in un grande calderone senza colore, tutto appiattito in una grigia, soffocante routine.
Il leitmotiv è Davide che si sveglia al suono di “ecco, un’altra giornata uguale alle altre.”
Non ero preparata a rimpiangere l’assenza, a soffrire nell’aver perso la bellissima sensazione di mancanza: raccontarsi stanchi una giornata dopo mille messaggi e chiamate al sapore di “mi manchi”, anche se sono solo poche ore, e sapere di tornare a casa la sera in quello che davvero era il nostro fortino, ma per scelta, non per necessità.
Non ero preparata a detestare quello che un tempo anelavo come l’aria: i tempi lunghi, le giornate sul divano, l’ozio, la pace.
Non ero preparata a soffrire così tanto l’assenza delle mie amiche, le serate di chiacchiere e buon vino, e non ero preparata a non poter nemmeno immaginare quando questo potrà accadere di nuovo.
Non era preparata a percepire ancora tanta inutile cattiveria, alimentata dall’inevitabile solitudine della quarantena, che a quanto pare non ci rende migliori, solo più frustrati e più desiderosi di sfogare questa frustrazione sul nemico di turno.
Non ero preparata ad accumulare così tanta rabbia nei confronti di un sistema che ha deciso che la sola soluzione fosse metterci ai domiciliari, privarci di tempo, affetti e vita, senza restituirci in cambio alcuna reale protezione e garanzia di tutela della nostra salute.
Non ero pronta a mettere in stand-by la mia vita, non è nel mio stile aspettare qualcosa che non so se e quando arriverà mai, non so stare al palo, se finisco nelle sabbie mobili faccio di tutto per uscirne: ho troppa vita da vivere per perdere tempo in inutili attese.
Non ero preparata a perdere talmente tanto di vista me stessa da non riconoscermi quasi più.
E non ero preparata alla fatica di tenersi stretti sogni e progetti, con la promessa costante, di giorno in giorno di coltivarli e farli crescere, malgrado tutto.
Non ero preparata a trovarmi nuda, spogliata, di fronte ad uno stile di vita totalmente nuovo, un vestito di due taglie più stretto che devo per forza farmi andare bene, e che non posso cambiare.
Non so voi, ma io, non ero preparata.
E sono ai blocchi di partenza, pronta per ripartire.

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