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Riflessioni sparse sull’amiciza tra donne

Sostengo da sempre che il culo che non ho mai avuto in amore io ce l’ho con le amiche.

Se le mie storie sbagliate ormai non si contano, le amiche si contano eccome, sulle proverbiali dita di una mano; e nel mio caso di mani me ne servono almeno due, e forse anche un piede.

Ho tante amiche, sfatando il mito che vuole che le amicizie, quelle vere, siano poche e scelte.

Così, a prima botta posso contare almeno una dozzina di persone che chiamo amiche, nel senso pieno, a 360 gradi del termine.

Ognuna con caratteristiche diverse, che ho voglia di incontrare a seconda dei mood o delle cose da fare.

Un po’ come gli psicanalisti di Stanford in Sex and The City: una per quando voglio farmi coccolare, una per quando voglio farmi maltrattare, una che sappia dirmi la verità in faccia brutalmente, una per ammazzarsi dalle risate, una per i concerti di Carmen Consoli e una per quello di Elio e le Storie Tese e Daniele Silvestri; ci sono le amiche da cinema e da teatro; quelle da aperitivo fashion o da birretta sul mare.

La cosa bella è che negli anni le mie amiche sono spesso diventate amiche fra loro, oppure io sono diventata amica di amiche, ampliando ed irrobustendo questa rete meravigliosa di relazioni fra donne che sono il paracadute essenziale nella vita.

Negli ultimi anni si sono aggiunte le amiche con figli, che quando vai d’accordo con la mamma del bimbo o della bimba che tuo figlio adora è una botta di culo congiunzione astrale come nemmeno nell’era dell’Acquario.

E poi si sono aggiunte i figli alle amiche storiche, che vogliono restare storiche, e continuano imperterrite ad organizzare serate e persino qualche weekend rigorosamente senza figli.

Ci sono le amiche senza figli, il salvagente che ti tiene sempre ancorata alla realtà, quelle che sopportano di buon grado le tue pesti regalandoti in cambio conversazioni tra adulti, bicchieri di vino e un sano cinismo che ti fa dire: c’è ancora vita, dopo la maternità.

Ci sono le amiche desaparecidos; quelle con cui non riesci a vederti, nonostante si abiti nello stesso quartiere. Perché i turni di lavoro non coincidono, perché una volta ha la febbre suo figlio e quella dopo ce l’hai tu; perché il destino cinico e baro proprio non vuole che vi incontriate.

Ma desiderate talmente tanto vedervi che alla fine ce la fate.

Una volta all’anno, che diventa come il giorno di Natale, spacchettando i regali in arretrato di un anno per mamme e bambini, portandoti avanti per quello a venire, ed è sempre meraviglioso

Infine, naturalmente, c’è LEI, quella che io auguro ad ognuna di voi.

L’amica con cui condividi tanto ma non tutto; che puoi mandare affanculo e che il giorno dopo alza il telefono per dirti “ou, ma sei scema? La chiariamo questa cosa?”.

Quella che ti dice la verità, sempre e comunque. Anche se lì per lì fa male e vorresti strangolarla, perché lo sai che ha sempre, stramaladettamente ragione, perché come lei non ti conosce nessuno. Nemmeno tua madre.

Perché tua madre non c’era a tenerti su i piedi dopo che eri svenuta perché ti eri fumata una canna, e a tua madre di sicuro non racconti della perizia con cui quel tipo fantastico ti ha trombata in bilico su uno scoglio al chiaro di luna.

Per dire.

Lei è quella a cui puoi dire tutto, perché non ti giudicherà mai.

E fare l’esatto contrario il giorno dopo, e malgrado questo sarà lì a sostenerti.

E’ quella che molla marito e figli per raggiungerti in ospedale a mezzanotte mentre stai partorendo, anche se le avevi detto “ma no, non è il caso, c’è mia madre”.

E se ne sta in un angolo, a vederti dormire, e anziché poggiarti una mano amorevole sulla fronte, ti fotografa sfatta, col camice verde e le fasce del monitoraggio per prenderti per il culo finché campi.

E’ l’unica che capisce fino in fondo le tue battute. Risate da crampi alle mascelle e mal di pancia.

E sorrisi accennati nei giorni a seguire quando ripensi a quella serata.

E’ quella a cui pensi quando vedi che sono tornate di moda le camicie di seta cotta.

Quella che sfidi a chi conosce più battute a memoria delle tue sit-com preferite.

Quella che ha il radar per capire quando sei nella merda.

Il dialogo più o meno si svolge così:

Lei: “Come stai?”

Io: “Ma si dai, bene.”

Lei: “Ok, arrivo.”

E arriva, e non se ne va.

Secondo me è quel “dai” che mi frega, che sottintende tutto, ovvero: è un periodo di merda, ma più di merda del solito, che nella merda di tutti i giorni uno ormai ha imparato a nuotarci, e tratti pure a sguazzarci con gusto, ma questa invece sta cominciando a sommergermi tipo sabbie mobili.

E io quella mossa che mi aveva insegnato il nostro mito, ovvero Alberto Angela, in un documentario a Mont Saint Michel, di pedalare all’indietro per uscirne, ancora non l’ho imparata. E tra l’altro penso che non funzioni, perché almeno la sabbia, in questo modo, dovrebbe compattarsi, invece la merda no, non si compatta, anzi. E poi secondo me all’Alberto alla fine, dalle sabbie mobili l’ha tirato fuori il cameramen, e in effetti anche io adesso avrei bisogno di un cameramen. Vorresti esserlo tu, il mio cameramen? Ma non farmelo chiedere, che lo sai che non chiedo mai niente io, non sono programmata geneticamente per chiedere; sì che lo sai, ed è per questo che  arrivi e non te ne vai.

Tutto in un fiato.

E’ quella che magari non vedi per due mesi, anche se la senti tutti i giorni. Ma non ti dirà mai “ma quant’è che non ti fai sentire! Dov’eri sparita?”

Perché conosce i tempi fisiologici per non essere oppressa né opprimente, e godere dei propri spazi e di quelli insieme.

Per questo ci diciamo spesso che siamo reciprocamente la relazione più lunga che abbiamo mai avuto, nonostante i rispettivi mariti o quasi tali.

Finchè morte non ci separi.

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Anche perché si sa, gli uomini schiattano prima.

E a noi toccherà fare le arzille vecchiette tra una crociera ed una partita a Old Maids, che l’autoironia, se non ce l’ha portata via la maternità, non ci riuscirà certo la vecchiaia.

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