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La stanchezza delle madri

Mi piacerebbe saper raccontare la stanchezza delle madri.
Quella stanchezza che ti fa andare avanti per forza d’inerzia, con troppe notti in bianco sulle spalle, e troppi giorni carichi di impegni e pensieri davanti.
Quella stanchezza che ti costringere a decidere tra una doccia decente o una dormita decente, perché non hai il tempo
Di fare entrambe le cose.

Mi piacerebbe raccontare a chi non ha figli che questa è davvero l’unica cosa che non capirete mai: sono certa che possiate capire l’amore, la gioia, le proeccupazioni, le ansie e la felicità.

Ma la stanchezza no.

Quella stanchezza mentale che ti impedisce anche di concentrarti su letture frivole come una rivista da spiaggia, o di sostenere un’intera conversazione tra adulti, senza che all’improvviso ti ricordi che non hai chiamato la pediatra per prenotare i vaccini.

Quella stanchezza fatta di notti in bianco che si accumulano una dietro l’altra, e ogni volta sembra l’ultima, e anche l’ultima è sempre una di troppo.

Quella stanchezza atavica che sembra non risolversi mai, che si mangia tutto ciò che credevi di essere, e ti sorprende a chiederti se davvero ci sia stato un tempo in cui non eri madre.

Un tempo in cui potevi passare una domenica intera a ciondolare, farti la pedicure, leggere libri, guardare film e decidere quale amica vedere la sera.

Un tempo in cui tu e lui potevate dedicarvi dialoghi, serate, sesso, complicità, liti e musi lunghi e tempi fisiologici per fare pace.

E tutto questo ora pare essere inghiottito dalle miriadi di informazioni e attività di tutti i giorni: l’iscrizione all’asilo, a danza, a karate, a musica e a teatro, le feste di compleanno, i regali di compleanno, i soldi per la rappresentante di classe, la chat dell’asilo, i colloqui con le maestre, le terapie antibiotiche, i fermenti lattici, gli spray nasali, l’aerosol, le figurine, le fiabe della buonanotte, la merenda, la cena, la colazione, i biscotti preferiti, il pupazzo senza il quale non si dorme, i cambi, i vestiti, le scarpe, i pasti bilanciati, il latte senza lattosio, il dentifricio alla fragola, i cereali preferiti, il sapone anallergico e la crema per la dermatite atopica.

Vorrei essere capace di raccontare le giornate frenetiche in cui sembra di perdere pezzi da tutte le parti, e la coperta di doveri e responsabilità è sempre troppo corta: se copri la scuola, lasci fuori lo sport, se copri le festine, restano fuori i compiti e l’antibiotico alle 8 di sera… e sembra che tutti siano lì, pronti a puntare il dito, a farti notare che nel goffo tentativo di coprirti la testa hai lasciato fuori il culo. Ma tutto quello che riesci a fare è a malapena girare sui tacchi, nascondendo le chiappe con le mani.

Mi piacerebbe saper raccontare i sensi di colpa che ti assalgono, quando ti rendi conto di essere l’unica madre ad aver dimenticato il quaderno a righe coi margini per italiano, oppure la firma su quell’avviso di sciopero che tu sola ignoravi.

E le sfuriate senza senso, fatte alle 10 di sera perché è troppo tardi e si deve andare a dormire, oppure alle 7 del mattino perché siamo in ritardo, in ritardo, in ritardo, e ci gettiamo nel traffico mattutino come piccoli bianconigli infreddoliti e incazzati.

E tu lo sai che in quei momenti stai solo gettando addosso al malcapitato figlio di turno la tua stanchezza, la tua frustrazione per non arrivare dove penseresti sia giusto arrivare, per non essere mai all’altezza, per sentirti inadeguata la maggior parte del tempo.

Mi piacerebbe saper raccontare la resa,
quando, senza un motivo preciso, o magari solo perché gli hai fatto la pasta al pesto, o perché gli hai concesso mezz’ora in più davanti al tablet, lui arriva, ti getta le braccia al collo e ti dice “sei la mamma migliore del mondo”.

E non è vero che in quei momenti passa tutto no. È pure peggio, perché i sensi di colpa cadono tutti insieme in quello spazio rimasto tra voi, e fanno il tonfo di un sasso lanciato nel vuoto, quel vuoto che sembra di non riuscire a colmare mai.

Ma forse la stanchezza delle madri non si racconta. Si vive e basta.
Si sopravvive, tra un bicchiere di vino di troppo, e un appuntamento dal dentista mancato di poco.

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