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Riflessioni estemporanee sulle relazioni umane, sociali e social

Mi è capitato, recentemente, di intervenire su un post pubblicato sulla bacheca privata di un’amica, permettendomi una battuta in virtù del fatto che ci conosciamo da circa vent’anni, e conosciamo le rispettive storie – lei non ha figli, io sì, visto che il tema era quello.

Dopo pochi minuti, un suo contatto è entrato a gamba tesa, insultandomi, accusandomi di essere una scriteriata per aver messo al mondo un figlio avendo un lavoro a tempo pieno e decidendo a priori che ero indegna come madre, per questo e per altri presunti motivi.

Dopo un’accesa discussione, la signora ha deciso di bloccarmi.

Mi è capitato, recentemente, ma anche in passato, di essere bloccata, per poi scoprire che il soggetto bloccante, si interessava invece in maniera ossessiva ai miei post, interpretando ogni cosa scritta come un chiaro riferimento alla sua persona, in un delirio di egocentrismo, e ancora carpendo informazioni su di me per vie traverse, arrivando talvolta a inventare profili falsi per commentare quel che rendevo pubblico o comunque per non perdersi – si fa per dire – nulla della mia vita, nonostante infastidisse così tanto anche solo il fatto che io respirassi, figuriamoci il fatto che mi ostinassi a scrivere di me, e non solo.

Mi è capitato, in passato, di essere vittima della cosiddetta “shit-storm”, ovvero di essere presa di mira da bullette – ahimè, la statistica di genere è impietosa: sono per la maggior parte le donne, over 35 e oltre, che hanno questi comportamenti ossessivi ai limiti della psicosi – che in branco hanno fatto di tutto per screditare la mia persona, esclusivamente sui social, con tentativi goffi, finiti malamente perché è evidente che quando certe maldicenze non hanno corpo, ci pensa la vita reale a mettere giustizia. (E ovviamente le mie amiche, serve forse ricordarlo?)

Sono comportamenti che a me lasciano perplessa, e non posso fare a meno di chiedermi: ma fino a dieci, quindici anni fa, come ci relazionavamo tra esseri umani?

Lasciamo perdere gli approcci più o meno fantasiosi di stampo romantico o palesemente sessuale.

Ma ci saremmo mai permessi di irrompere in una conversazione tra amici comuni, inveendo contro un conoscente con tale violenza verbale?

Quando litigavamo con una persona, tanto da non ritenerla più degna della nostra attenzione, dopo averle tolto il saluto, passavamo forse le giornate a pedinarla per sapere quali luoghi o persone frequentasse? Ci sognavamo forse di togliere il saluto anche a tutte le persone a lei amiche, salvo seguire anche loro, magari nelle uscite serali, per carpire non si capisce bene quale tipo di informazione? Eravamo capaci all’alba dei quarant’anni, di unirci in branco per sputtanare platealmente una persona di fronte al resto del mondo, guardandola negli occhi?

E perché, invece, oggi, ci permettiamo di farlo?

Com’è successo che la violenza sia stata sdoganata a questi livelli? 

Nelle sue Lezioni Americane, Calvino raccontava della sua impressione che il linguaggio venisse usato in maniera approssimativo, casuale, sbadato.

Oggi è peggio. 

Le parole non sono pensate e mancano totalmente di consapevolezza.

Per darsi un tono da intellettuale, si fa ricorso a citazioni. Peggio, alle definizioni da dizionario.

Le parole non hanno più un peso. E senza peso, nulla ha più valore.

Non hanno valore le emozioni, l’odio, l’amore. Tutto viene gettato addosso al destinatario di turno con superficialità, che troppo spesso viene spacciata per erudizione, conoscenza, cultura.

Tutto è sdoganato, giustificato.

Si è costantemente vittime di un nemico che esiste solo in una realtà virtuale, surrogato della vita reale, percepita ormai con distacco.

Almeno un tempo, quando ti trovavi faccia a faccia con chi ti aveva fatto un torto, c’era la possibilità di sfidarsi verbalmente, di urlare, venire alle mani. Ma anche di dialogare e chiarirsi.

Oggi tutto questo è sospeso, insieme al giudizio, gratuito, relegato nei diritti insindacabili di chi subisce un torto, presunto o reale che sia, e decide di far partire la gogna mediatica.

Per fortuna ci pensa la vita reale pareggiare i conti. Le persone reali, gli amori reali, le amiche reali, i fatti reali che accadono ogni giorno della nostra vita, e che vivaddio, non sbandieriamo sulle nostre bacheche come trofei. O peggio, come feticci di qualcosa che è stato e che non ci appartiene più.

E per il significato della parola “feticcio”, nella sua accezione più pura, proveniente dalle religioni animiste africane, vi rimando alla definizione del vocabolario… 

Che io preferisco non scippare le parole: il mio mestiere di vocazione me le rende troppo preziose, per sprecarle così.

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