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Sopravvissuti, fra statica e statistica

E ci teniamo più stretti.

Ci respiriamo più vicini.

Come se la nostra prossimità potesse unire i due lembi di questa ferita aperta, tra due piloni di cemento armato, nel cuore, nella città

Facciamo gesti lenti, calibrati.

Ci muoviamo con cautela, come a temere che un movimento brusco possa tirare giù quel brandello di cemento appeso.

Ci cerchiamo, ottusi come innamorati.

Dormiamo stretti, il respiro lieve di chi si sveglia da un momento all’altro per un rombo, un boato.

Un brutto sogno, ma non lo è stato.

Ci riscopriamo fragili, appesi a un filo, o a un tirante d’acciaio.

E vagoliamo disorientati in questa città fantasma, che cambia faccia da mattina a sera, si spezza, salite che diventano discese, semafori lampeggianti, strade sbarrate, caselli chiusi, sensi rovesciati.

Abbiamo perso tutti i nostri riferimenti, ma proprio tutti.

Ci telefoniamo, abbiamo bisogno di voce almeno, ché nemmeno un messaggio basta più a colmare quel vuoto.

Ci raduniamo in silenzio, tra sopravvissuti, ci riscopriamo umani e uniti da un dolore comune, indecifrabile.

Cerchiamo risposte, negli occhi di chi ci sta di fronte, e responsabilità che schiacciano, pesanti come macigni, e ci trapassano da parte a parte, come l’anima di ferro di un pilone autostradale.

Scopriamo nuovi sensi, della vita o sotto la pelle, in allerta come animali braccati.

E un senso lo cerchiamo, per non impazzire, o per imboccare una strada nuova, sperando che non ci frani sotto ai piedi.

Abbiamo ripreso in mano quel libro, abbandonato da troppo tempo sul comodino.

Almeno se muoio, so come va a finire (cit.)

Giochiamo di più con i nostri figli, facciamo di più l’amore.

Laviamo i piatti in silenzio, e pieghiamo i panni in quattro, come i passi che ci separano da un abbraccio inatteso.

E ci facciamo promesse stanche, buoni propositi, per ricominciare.

Facciamo progetti, sì. Ma con la morte nel cuore.

E teniamo viva la speranza, che regna solo nei cuori impavidi.

Perché è con coraggio che ci aggrappiamo alla vita.

Con le stesse dita che seguono profili e contorni, e accarezzano volti e scavano tra le macerie di un ponte, o dell’anima.

Ci ribelliamo al fato, alla tragedia, alla statica e alla statistica.

E ci appoggiamo all’altro, grati di essere ancora, fottutamente vivi.

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